Il contributo di Franca Bassi - Fiat 850 Spider CL-  1966

”La mia Ballerina”

Sembra ieri
invece
il tempo è volato via.
Ti ricordi
quando il mio sguardo
incantato ti guardava
da dietro la vetrina?
Mi sei apparsa
mentre giravi su una ruota
come una ballerina.
Eri bella!
Avevi la veste color sabbia.
Oggi non rammento
come sei diventata mia.
I sogni spesso si avverano.
Sei stata la mia amica preferita.
Insieme ci siamo arrampicate
sui monti innevati
della catena del Libano.
Abbiamo percorso
insieme strade sconosciute
deserti colorati come la tua veste.
Abbiamo visto volare
gli aquiloni a Kabul.
Abbiamo attraversato
la Cappadocia.
Al tramonto ci siamo perse
nel deserto del Wadi Rum.
Un giorno ci siamo svegliate
in un campo di papaveri.
Ti sei comportata bene!
Mi hai sempre riportato a casa!
Amica mia ancora oggi
mi manchi tanto!

Franca Bassi

“Storia di una viaggiatrice sprovveduta”

“Da ragazza acceleravo e senza pormi tante domande, con la mia piccola auto, andavo sempre avanti. Non conoscevo la politica, le guerre non mi piacevano e poi credevo che non ce ne fossero. Questo era il mio pensiero, ma non era la realtà.
Avevo solo 25 anni e un grande desiderio, quello di esplorare la terra, di conoscere i miei vicini e perché no anche gli inquilini più distanti. Ricordi negativi di tutti i miei viaggi? Diciamo che mi ha detto molto bene, la mia incoscienza giovanile mi ha portato in paesi lontani e non tanto tranquilli, ma questo problema era a me sconosciuto.
Non ricordo il giorno, ma era una giornata caldissima questo lo ricordo, avevo aperto il tetto della mia piccola 850 CL e mi trovavo su un valico di montagna, confine turco-siriano e qui ho passato un giorno lunghissimo in silenzio. Sono stata bloccata per un giorno intero con mia meraviglia, senza comprenderne il motivo. Seduta su una panca di legno, in una piccola stanza angusta, con le braccia incrociate sul grembo, alla parete un telefono a manovella, due piccoli tavoli di legno, una porta di legno sgangherata e una finestra dai vetri sporchi che non lasciavano vedere neppure un'ombra. Per ore sono stata in silenzio, senza parlare con alcuno. A questo ero abituata non conoscendo la lingua dei paesi che visitavo, solo pochi gesti per farmi comprende e per comprare al mercato un po' di frutta e una pagnotta di pane. Ma questo non mi pesava, tanta era la felicità di vedere terre lontane e sconosciute.
In quella stanza odorosa e impregnata di tabacco, le ore lente mi martellavano le tempie e la paura iniziava a salire alla bocca dello stomaco, anche per la sete e la fame. Nella mia mente ingenua tentavo di trovare la motivazione di quel fermo. Poi, come un flash, nella mia mente ho rivisto il confine italo-slavo quando per un giorno hanno smontato le gomme della mia vettura, i pannelli, i sedili, solo il blocco motore è stato risparmiato. Poi, con un gesto strano della guardia di turno, mi hanno riconsegnate le chiavi e mi hanno lasciato passare. Ma qui sulla montagna siriana, la mia piccola auto non interessava. Nessuna attenzione per la piccola vettura impolverata diventata ormai mimetica, dello stesso colore della sabbia dei deserti da me attraversati.
Le guardie si passavano il mio passaporto da un tavolo a un altro, come se giocassero a ping pong, seguiti da sguardi strani e sorrisetti che mi gelavano e intimorivano la mia anima. Poi nella mia mente mi sono data una labile spiegazione: forse il fermo era dovuto al povero clandestino ferito agonizzante che si trovava sul pianale della vettura? Non credo!
Alla piccola auto nessuna attenzione, ormai anche lei abbandonata da ore, posteggiata all'ombra dell'unico albero sperduto su quel confine di montagna. Anche lei si era raffreddata dopo il caldo del giorno insieme al povero clandestino. Passano ancora delle ore lente. Dal caldo secco portato via dal vento, iniziai a tremare e ancora nessuna risposta.
Seduta sconsolata sentivo ancora freddo, fame e sete, ma ormai nessuno si curava di me, solo ogni tanto il gendarme alzava lo sguardo senza espressione e lo chinava scarabocchiando nervosamente un foglio. Ormai le gambe le sentivo legnose, nella mia mente cercavo di spiegare con gesti che il clandestino era ferito e aveva bisogno di cure, poteva morire abbandonato sul pianale.
Ma cosa facevo di male? Stavo solo cercando un posto dove farlo curare. (Amici scusate, ho dimenticato di scrivere che il mio clandestino, ospite nella mia vettura, era una grande testuggine di terra turca, ferita gravemente). Dopo una lunga giornata arrivò dal vecchio telefono nero un trillo assordante. Feci un sobbalzo dalla panca dove il mio sedere era incollato da ore e mi sono ritrovata come un soldatino di legno sull'attenti. “Damasco... Damasco...” gridò il gendarme. Il secondo, che si era addormentato, fece un sobbalzo come me. “...Damasco!” sentenziò!
Mi lasciò passare con il clandestino ferito sul pianale, ma prima depennò con uno scarabocchio di bic la parola “Israele” dal mio passaporto. Ancora oggi conservo quel passaporto pieno di timbri e ancora guardo quella cancellatura. Non conosco quella terra per me oggi ancora con i fili spinati.”

Nel 1966 fui invitata da Nuccio Bertone a Grugliasco, con la mia 850CL Bertone, per avere fatto una relazione sulla vettura da me condotta in giro per il Medio Oriente. Come premio mi venne offerta una revisione della vettura, un bellissimo portapenne in argento con lo stemma della casa, una cartella disegni e solo accarezzato diversi prototipi. Oggi che la Fiat è crisi, mi è tornato in mente l'ing. Nuccio Bertone ed una sua frase secca e concisa: "Mangio pane e auto!" Anche per me è stato così!

Franca Bassi